Brescia. Non voglio snobbare la buona partita con Brindisi, ma come tutti sono proiettato sui prossimi playoff per cui, sulle note della canzone del secolo (quello scorso ovviamente), la meravigliosa “Imagine” di John Lennon, mi accingo ad affrontare un argomento in apparenza semi-serio, in realtà più serio di quanto non possa sembrare.
Fare e immaginare di fare può essere la stessa cosa? Magari! Non è vero?
Per le neuroscienze non è così blasfemo perché, spesso, immaginare aiuta proprio a fare. Si è visto che alcune aree del cervello si modificano in maniera simile, tanto con l’allenamento e la pratica, quanto con la visualizzazione del gesto stesso. Rigorosi test applicati anche alla pallacanestro hanno indicato che, dopo aver allenato anche solo mentalmente il proprio tiro, le percentuali di realizzazione ai tiri liberi incrementavano in modo statisticamente significativo, del ben 23% rispetto al basale. La migliore sintesi dedicata ai vantaggi ottenuti con questo metodo è quella del giocatore Ian Mahinmi che, sotto la guida di coach Scott Brooks, sostenitore di questa tecnica, ebbe modo di commentare:
“È come sviluppare una memoria muscolare, ma per il tuo cervello”
Chi non ricorda Dennis Rodman? Promemoria per i più giovani: era chiamato “The Worm” (il Verme) per il suo dinamismo irrefrenabile e la capacità di catturare ogni palla vicina ai suoi “tentacoli”. Re dei rimbalzisti in NBA, si allenava visualizzando la parabola di tiro dei suoi compagni. Dedicava parte del suo allenamento a fare solo quello e, conoscendo il personaggio, qualche dubbio sulla reale motivazione poteva esserci. Non in partita però, perché capiva prima di altri l’errore al tiro e soprattutto dove sarebbe caduto il rimbalzo. Anche in questo caso, allenarsi sulla visualizzazione voleva dire cogliere dettagli utili, fondamentali per fare la differenza.Forse ancora meno noto è Coach Jim Valvano che, nel lontano 1983, riuscì in un impresa che ha ancora oggi dell’incredibile: vincere il titolo NCAA con la sua poco più che discreta squadra: la North Carolina State. Basti dire che riuscì ad eliminare, in modo spesso rocambolesco, squadre composte da questi nomi: Clyde Drexler e Akeem Olajuwon (assieme in finale per Houston) oltre Michael Jordan e Ralph Sampson per citare i più noti. Non poteva non avvalersi della strategia per ridurre il divario con gli avversari e ovviamente diede ampio sfogo ad ogni risorsa. La più incredibile partì però dall’inizio stagione e si ricollega al tema dell’immaginazione.Qual è l’atto finale in una competizione cestistica, il segno tangibile dell’ottenuta vittoria? Il taglio della retina alla fine dell’ultima partita. Bene, il nostro geniale Paisa’ fece allenare i giocatori nei primissimi allenamenti, tra lo stupore generale, magazziniere compreso, proprio al taglio della retina. Era partito da lontano, molto lontano, ma certo aveva allenato la mente, aveva fatto “vedere” perché se prima non lo pensi, non lo puoi fare. Ancora una volta immaginare di fare, aiuta a fare.
(Jim Valvano)
… Imagine all the Brescia’s people…
Pistoia è indubbiamente la prossima focalizzazione. Il suo palazzetto, i suoi colori, i suoi canestri, il suo caloroso pubblico e ovviamente giocatori e squadra nel suo insieme. Nulla vieta però, cara Germani Brescia, che si possa allenare la mente al tiro, al rimbalzo, ma soprattutto al successo, il prossimo e quello futuro. Se qualcuno lo ha già fatto, se qualcuno ha aperto la strada, può essere d’esempio e fonte di ispirazione. Non costa nulla ed è grande la possibile resa.Lo faccio anch’io. Vedo il titolo della mia maglietta celebrativa che sarà “Che Togo!”, valido per quanto già fatto, per il sottotitolo lascio ad ognuno immaginare (poteva essere altrimenti?) Pensavo fosse un termine dialettale bresciano che identifica il più moderno “Che figo”, ma appartiene ormai alla lingua italiana perché molto usato in Lombardia, Veneto, Emilia e addirittura Sardegna. Trova la sua spiegazione in ricordo dell’ammiraglio giapponese Togo Heihachiro che, con mezzi esigui, sbaragliò la di gran lunga superiore flotta russa nei primi anni del 1900, durante la battaglia di Tsushima. Per descrivere quindi qualcosa di straordinario, nel gergo comune prese piede questo simpatico modo di dire che adotto come immagine personale e come testimonianza che tutto è possibile, anche fermare le Corazzate.
Lavoro, sudore, fiducia, strategia e consapevolezza aiutano a costruire il successo. Tutto utile, ma monco senza una visione superiore, senza orientamento.
L’A.D. Mauro Ferrari ha detto, consapevole di attirare qualche dubbio e sberleffo, in cosa crede, ma soprattutto in chi. Ha espresso emozioni, non solo concetti e a modo suo ha fatto immaginare “il taglio della retina”, parlando dei “biglietti per la finale”. Si riconosce ciò che ha prodotto risultati eccezionali solo dopo averli conseguiti, mai prima. Un esempio:
qualcuno pensa che ci fossero differenze tecniche così nette per giustificare il 4 a 0 inflitto a Milano dai felsinei nella finale di 3 anni orsono? Oppure che le fatiche di coppa avessero tolto benzina ai milanesi? Nossignori per me la vincente era una squadra inferiore, ma era illuminata, motivata, dimostrava compattezza e soprattutto era palese l’affetto tra giocatori e staff. Viaggiavano mentalmente ad un livello superiore ai superfavoriti avversari, quello stesso che venne poi perso restando in seguito una buona squadra, ma senza più la magia di quel momento. Questi pensieri mi hanno aperto gli occhi su quel piccolo, ma decisivo salto di qualità che serve alla Germani Brescia, quella cosa a cui non sapevo dare nome ora mi è chiara: Ispirazione, lasciarsi condurre dalle emozioni, dal rispetto meritato e in particolare dall’affetto da cui si è circondati.
Plaudo alle parole di Mauro Ferrari perché è inusuale dimostrare affetto, fiducia, rispetto. Ho già avuto modo di esprimere come la forma più alta di intelligenza dell’uomo, quella emotiva, per mille motivi sia anche la più contrastata. Mi ribello ancora una volta e torno a parole semplici come ridere, pensare e piangere che sono l’essenza dell’ultimo
discorso pubblico di Jim Valvano quando, sapendo che la sua malattia non gli avrebbe lasciato molte possibilità, commosse l’uditorio con questa riflessione:
“Ci sono tre cose che dovremmo fare tutti i giorni: la prima è ridere, dovremmo ridere ogni giorno. La numero due è pensare. Dovremmo passare almeno un momento della giornata pensando. E la numero tre, dovremmo avere ogni giorno emozioni che ci spingano a piangere, per la felicità e la gioia. Pensateci, se ridiamo, pensiamo, e piangiamo, quella è una giornata piena, una gran giornata. Fatelo sette volte a settimana, e avrete qualcosa di speciale”.
ELLE14
Per approfondire:
” Nella mente di un tiratore ” by Andrea Romeo
Autobiografia di Jim Valvano:
They Gave Me a Lifetime Contract, and Then They Declared Me Dead”